LA BIENNALE DI VENEZIA
Nel 1895 il Comune di Venezia dà vita al progetto di una Esposizione d’Arte Internazionale da tenersi ogni due anni, la Biennale appunto, allo scopo di presentare un’ampia rassegna e, nel contempo, offrire un confronto stimolante con le esperienze artistiche straniere, concedendo parimenti un prestigioso spazio positivo e, quindi, ampia visibilità, agli artisti italiani.
A sede della Biennale è destinata l’unica area verde di ampie dimensioni disponibile in città, i giardini di Castello, dove è realizzato, in forme classicheggianti, l’edificio dell’esposizione. L’allestimento si rifà ai criteri comuni ai salons e alle grandi mostre europee. Nel 1903 la Biennale viene rinnovata negli ambienti interni e nella concezione espositiva secondo gli orientamenti già manifestatisi nei padiglioni delle Esposizioni di Parigi del 1900 e di Torino del 1902.
Con il crescere dell’importanza della manifestazione veneziana, nel 1907 si costruiscono i primi padiglioni realizzati e amministrati dalle nazioni straniere partecipanti, a cominciare da quello del Belgio. Nel primo Novecento la Biennale, proprio per la sua posizione di prestigiosa ufficialità, costituisce un indubbio polo di riferimento per la cultura artistica italiana nei termini di svecchiamento del panorama pittorico nazionale e di apertura alle correnti artistiche internazionali. Le manifestazioni sollecitano l’intervento massiccio della critica militante e stimolano la vitalità del mercato dell’arte contemporanea.
CA' PESARO
Dopo essere stato donato al Comune di Venezia dalla duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, nel 1902 Palazzo Pesaro diventa sede della Galleria d’Arte Moderna sotto la direzione di Nino Barbantini, che ne fa un centro di produzione ed esposizione all’avanguardia.
L’attività espositiva della Fondazione Bevilacqua La Masa si pone all’inizio in un rapporto di collegamento ed al tempo stesso di autonomia rispetto alla Biennale, per assumere poi rapidamente aspetti di esplicita “secessione” nei confronti della grande manifestazione ufficiale veneziana. Barbantini infatti,dà largo spazio e sostiene artisti giovani e ancora poco noti, senza alcun vincolo di scuola o di indirizzo. Nel 1910 espongono, infatti, a Ca’ Pesaro Umberto Boccioni, Teodoro Wolf Ferrari, Guido Marussig, Gino Rossi e il giovanissimo Tullio Garbari; ad essi si affiancano negli anni successivi, tra gli altri, Arturo Martini, Vittorio Zecchin e Felice Casorati. Le ricerche dei giovani di Ca’ Pesaro si muovono su piani molto diversi, che vanno dalle esperienze della Secessione Viennese a quelle impressioniste e postimpressioniste francesi.
Nel 1914 si conclude fra violente polemiche la prima stagione delle mostre di Ca' Pesaro, che, caratterizzata da una decisa apertura verso le correnti artistiche europee e dall’incoraggiamento dato agli artisti più giovani, esprime una proposta di avanguardia, per così dire, moderata, una posizione intermedia che, mentre da un lato si oppone all’accademismo e al convenzionalismo dell’arte ufficiale, dall’altro prende anche le distanze dall’estremismo dissacratore delle avanguardie.
LE SECESSIONI EUROPEE
Vanno sotto il termine di Secessioni tutti quei movimenti di scissione dall’arte ufficiale che hanno caratterizzato il panorama artistico europeo fra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Sorte in reazione al conservatorismo delle istituzioni artistiche dominanti del tempo, come le accademie di Belle Arti, le associazioni ed i circuiti espositivi ufficiali, promuovono un rinnovamento del gusto e l’integrazione tra i vari generi artistici.
Il primo effettivo scostamento dai generi classici accademici, ritenuti obsoleti, ha luogo a Parigi (1890), diffondendosi da lì in tutta Europa, in particolare nei paesi tedeschi. Qui, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, prendono vita la Secessione di Monaco (1892), la Secessione di Vienna (1897), le Secessioni di Berlino (1898), Colonia (1909) e Praga (1910). Vi sono poi le Secessioni di Budapest e quella di Roma (1913-1916).
Discorso a parte riguarda quegli artisti che, un po' dovunque in Europa, dall'Ungheria alla Spagna, dal Belgio all'Inghilterra. adottarono le formule espressive dello “stile Secessione” senza entrarne a far parte strictu sensu, ma che, comunque, finalizzano, la loro ricerca in direzione di uno stile capace di esprimere “l'opera d'arte totale”.
Fortemente influenzati dalle condizioni storiche, economiche e politiche di fine secolo, gli artisti secessionisti non solo si propongono di introdurre un nuovo repertorio stilistico, ma accendono il dibattito intorno all’arte modernista, che coinvolge tanto le arti maggiori quanto quelle applicate. Comune è la volontà di superare la pittura da cavalletto e la scultura classica, a favore di una coesione estetica e produttiva di gruppo, a partire dall’architettura. L’arte non è più confinata e corporativa, ma penetra in tutti i campi della vita quotidiana, interpretando le trasformazioni della società.
Organi specifici del dibattito di quegli anni sono le riviste fondate dai diversi gruppi secessionisti.